Obama, guerra agli evasori fiscali

da lastampa.it

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  1. Ross@na
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    Casa Bianca contro "chi crea lavoro a Bangalore, India, anziché a Buffalo, NewYork"

    Finisce l’era dei privilegi per le aziende americane che operano all’estero creando posti di lavoro per stranieri, celando i profitti ed evadendo le tasse da pagare. Parlando dal Grand Foyer della Casa Bianca è Barack Obama che illustra alla nazione un piano di riforma che punta a «identificare gli evasori» intervenendo sugli aspetti dell’attuale codice fiscale che si applicano alle imprese Usa presenti all’estero. L’amministrazione Bush le proteggeva in nome della globalizzazione ma ora Obama fa proprie le obiezioni sollevate negli ultimi anni da numerosi leader democratici del Congresso - da Max Baucus a Charlie Rangel fino a Carl Levin - al fine di «far loro pagare le tasse proprio come fanno tutti i normali cittadini».

    Il presidente ribadisce la fiducia nella globalizzazione dell’economia e conta sulle aziende Usa «affinché si affermino ovunque nel mondo» ma il vulnus che vuole sanare sta nel fatto che «un codice fiscale con molte falle, opera dei lobbisti, consente a numerose aziende di non pagare le imposte come invece dovrebbero». Il riferimento è a quelle imprese che, proprio grazie a tali norme, «pagano meno tasse in America creando posti di lavoro a Bangalore, India anziché a Buffalo, New York» in quanto possono celare all’estero i profitti, rimandando o rinunciando a fare la dovuta dichiarazione alle autorità degli Stati Uniti. «Capisco bene che uno dei punti di forza della nostra economia è la capacità di espandersi delle imprese e desidero che restino competitive - sottolinea il presidente - ma bisogna evitare che ciò porti a far affluire nei paradisi fiscali le imposte che dovrebbero essere versate allo Stato». Da qui la decisione di «porre fine alle facilitazioni fiscali per le imprese che operano all’estero» puntando a recuperare nei prossimi dieci anni entrate per 210 miliardi di dollari.

    Tenendo presente che il deficit federale nel 2010 sarà di 1,2 trilioni di dollari il recupero fiscale non ha dimensioni rilevanti ma ciò che conta per Obama è mantenere la promessa fatta all’inizio della campagna elettorale di aiutare le imprese che «creano lavoro in patria e non all’estero». E’ un messaggio diretto in primo luogo alle famiglie della classe media degli Stati del Mid-West e del Sud che più hanno pagato il prezzo dello spostamento all’estero di impianti industriali. «Da anni sapevamo che cosa avremmo dovuto fare e ora manteniamo le promesse» sottolinea Obama, facendo il concreto esempio delle Isole Cayman dove «c’è un edificio dove hanno sede i quartier generali di 12 mila imprese» dando vita a un paradosso che «si spiega con il fatto che o si tratta del più grande edificio del Pianeta o della maggiore vergogna fiscale del Pianeta». E’ una dichiarazione di guerra nei confronti dei paradisi fiscali che finora hanno corteggiato, ospitato e protetto i proventi di molte aziende nazionali.

    A condurre la caccia all’evasore che adesso si apre sarà l’Irs -l’Ente federale per la riscossione dei tributi - al quale la Casa Bianca promette di fornire «tutti gli strumenti dei quali avrà bisogno» a cominciare dalla creazione di una task force di 800 agenti speciali il cui compito sarà di «identificare e perseguire gli evasori fiscali che si trovano all’estero». Al tempo stesso il presidente assicura alle aziende nazionali che operano rispettando le regole aiuti per consentirgli di «creare posti di lavoro e aumentare i profitti» al fine di ribadire che ogni tassello della sua azione punta a rafforzare l’American Dream (il sogno americano) rafforzando il sistema di produzione nazionale. Obama pensa a un rilancio in grande stile dell’industria tradizionale, e in particolare del settore manifatturiero che più ha sofferto negli ultimi anni, nel quadro di un riassetto interno che «porterà Wall Street a pesare molto di meno sulla nostra economia».
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0 replies since 5/5/2009, 09:27   21 views
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